OMAGGIO A GABRIELE BASILICO



Gabriele Basilico nasce a Milano il 12 agosto 1944. Dopo il Liceo artistico, si laurea in Architettura al Politecnico di Milano. Inizia a fotografare mentre è ancora studente, ed è la fotografia sociale il suo primo interesse, nel momento della contestazione studentesca, delle lotte operaie, delle manifestazioni di piazza, del desiderio di cambiare il mondo. Ma, nonostante la gratitudine sempre dimostrata a Gianni Berengo Gardin, suo maestro, o all’amico Cesare Colombo, nonostante la stima per William Klein, il reportage non è il genere di fotografia che realmente possa appartenere a Basilico, non del tutto interessato al racconto dell’evento nel suo svolgersi, non portato a cogliere in velocità il momento decisivo. Altri diventano i suoi riferimenti, prima Bill Brandt e le sue periferie urbane, Ugo Mulas con la sua cultura e la sua apertura intellettuale, Paolo Monti, con il suo metodo severo e rigoroso; poi il grande Walker Evans, maestro di democrazia dello sguardo, i coniugi Bernd e Hilla Becher, che hanno dedicato la loro vita all’indagine sistematica dei manufatti industriali, Lewis Baltz, fotografo delle aree  più infime e abbandonate del paesaggio postindustriale. Ma anche, sullo sfondo, le diverse idee di città di Mario Sironi e De Chirico e le periferie dipinte da Umberto Boccioni, o il cinema di Antonioni, Wenders, Tarkovskij.
Non solo la sua formazione di architetto ma anche la sua stessa indole riflessiva lo portano molto presto verso ciò che sarebbe diventato l’oggetto assoluto del suoi impegno: la forma e l’identità della città, l’insieme complesso delle architetture, dei manufatti creati dalla storia e dalla cultura degli uomini. E dalla città, poi, tutti i mutamenti in corso nel paesaggio contemporaneo nel passaggio dall’era dell’industria alla fase postindustriale, e poi, ancora, l’urbanizzazione tutta del paesaggio, la metropoli, la megalopoli. In questo studio del legame tra luogo e identità, avrà per compagni di strada i grandi maestri della fotografia italiana di paesaggio, insieme a lui gli innovatori della fotografia italiana , coloro i quali l’hanno resa arte e impresa di impegno civile a un tempo: Luigi Ghirri, Mimmo Jodice, Guido Guido, Mario Cresci, Francesco Radino, Giovanni Chiaramonte, e i più giovani Vincenzo Castella, Olivo Barbieri,  Vittore Fossati. Ma anche, in Europa, tanti autori che come lui hanno fatto del paesaggio il centro del loro lavoro e che con lui hanno partecipato a molti importanti progetti di committenza pubblica, primo tra tutti quello della Mission Photographique de la DATAR.
Dopo il periodo sociale, la prima grande ricerca di Basilico è la notissima serie Milano. Ritratti di fabbriche, 1978-80, nella quale individua e cataloga la fabbrica come possibile emblema dell’identità della città, proprio nel delicato momento in cui l’era dell’industria si spegne. Svolta decisiva, nel 1984-85, la sua partecipazione alla Mission Photographique de la DATAR, grande progetto di committenza pubblica voluto dalla stato francese per una indagine dello stato del paesaggio di fine secolo.
Con questa esperienza Basilico entra in diretto contatto con la nozione complessa di paesaggio come fatto culturale, percettivo, esistenziale. Sicuramente decisivo per l’evoluzione del suo lavoro un altro momento, quando nel 1991 lavora sulla città di Beirut devastata dalla guerra: un’esperienza molto importante che lo porta a riflettere sulla complessità del corpo storico e fisico della città.
Mentre continua a lavorare in molte città e in molti progetti di committenza pubblica, sia in Italia sia in Europa, affronta un’altra ricerca di grande respiro metodologico con Sezioni del paesaggio italiano, insieme a Stefano Boeri, presentato alla Biennale di Venezia del 1996: si tratta del tentativo di individuare un metodo per descrivere le trasformazioni del paesaggio italiano nel suo insieme stratificato, in modo trasversale.
Con la seconda metà degli anni Novanta la sua opera procede su più livelli: da un lato continua a lavorare su Milano, la sua città sempre amata e sempre studiata, intrecciando le immagini di Milano con quelle di altre città italiane ed europee, in cerca di una ”forma della città”;  dall’altro, costruisce anno dopo anno lunghe indagini di singole città, o più vasti scenari nel quali confronta e fa convivere città diverse, sempre studiando l’estrema complessità dello spazio urbano contemporaneo. E’ il caso di Cityscapes, del 1999, o di  Scattered City, del 2005.
Il lavoro di Basilico può senza dubbio definirsi possente: tra le moltissime città generosamente e metodicamente affrontate vi sono Amburgo, Barcellona, Bari, Beirut, Berlino, Bilbao, Francoforte, Genova, Graz, Istanbul, Lisboa, Liverpool, Losanna, Madrid, Milano, Mosca, Nizza, Palermo, Parigi, Rio de Janeiro, Roma, Rotterdam, San Francisco, San Sebastian, Shangai, Torino, Trieste, Valencia, Zurigo.
Partito da Milano, la sua città, egli ha dunque allargato la sua attenzione all’Italia, all’Europa e poi in modo compatto alle città del mondo globalizzato, in un lungo percorso portato avanti per una vita.










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